I just want to feel that high – and you refuse to lift me.

[CONTEST] Our Atonement — Chapter 3: Wrath

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    the untamed vengeance.

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    Where the raindrops as they're falling tell a story.

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    OPhelia

    Guess it wasn't real after all. Guess it wasn't real all along.
    I'm not afraid to dream, to sleep, sleep forever.

    Un silenzio ovattato – connaturato ad un sempre più leggero e flebile respiro. Il dito sfiorava delicatamente l’intercapedine che univa la dimensione della sua libertà all’infinita estensione della sua prigionia – allora osservava l’unghia, resa rossa dalla compulsione dei morsi, fragile dal blando tentativo di scavare una via di fuga, o forse semplicemente un punto d’accesso al mondo che conteneva tra i singhiozzi e le lacrime. Era per lo più confusa, svuotata di ogni impulso alla reazione – a volte doveva concentrarsi a lungo per sentire il suono rauco del suo respiro, l’estensione dolorosa dei suoi polmoni e il gelido getto del sangue tra le vene.

    L’alternarsi del giorno e della notte erano ormai divenuti un effimero frammento di memoria, un ricordo di una vita ormai lontana e non più aderente al suo presente, alla sua realtà – Ophelia esisteva solo e soltanto nei centimetri della sua cella, solo e soltanto attraverso l’inesorabile trascorrere del tempo ormai diluito nell’ansia dell’attesa del prossimo supplizio.
    Aveva smesso di percepire i contorni delle figure che la trascinavano fuori ogni volta, aveva perfino smesso di ricordarne i volti – le maschere, lisce, traforate di realtà e perdizione. Avrebbe potuto disegnarle, illustrarle in un’esplosione di colori monocromatici. Erano due fori pregni di un’oscurità che avrebbe fatto fatica a riconoscere altrove.
    Era un nero più nero, più scuro, più tenebroso – era un nero cremisi, una goccia di sangue quasi indegna, la lenta erosione che avrebbe consumato la roccia. La roccia era lei, e di sicuro non avrebbe presto ceduto il passo all’umidità del sangue e all’abrasione della resa.

    Avrebbe potuto descrivere quell’esatto momento della sua vita come la più completa delle stasi, il perfetto distacco imperturbabile dalla realtà – atarassia per molti, mera sopravvivenza per lei. Era un limite che presto avrebbe varcato – una porta contenente l’epilogo al supplizio e forse l’inizio di qualcosa che ancora faticava a varcare i limiti della sua percezione.

    Allucinazioni, disastri variopinti – arabeschi colorati, e il bianco addossato dietro la percezione del nero. Erano esattamente dietro le sue palpebre, si muovevano più vividi che mai – erano la sanità mentale ormai sopita, l’amante immaginario con il quale condividere notti piene di rauchi amplessi, ed erano infine il senso ultimo d’ogni cosa.

    Il demiurgo dei suoi stenti.

    Fu quando Ophelia imparò a riconoscere ogni sua terminazione nervosa, ogni suo battito cinereo – fu quando si resero conto che della sua mente non ne restava altro che un involucro addomesticato alla sofferenza, abituato al sopruso, alla violenza, allo stupro ideologico della conoscenza – fu esattamente in quel momento che il suo aguzzino cambiò volto.

    In effetti, ne assunse finalmente uno. E come avrebbe potuto dimenticarla?

    Erano i solchi del suo volto, l’autonomia della sua risolutezza, il pulviscolo dietro il quale si nascondeva il viola più contorto di sempre – era il suo ghigno ferale, i suoi denti appuntiti e quegli arti più lunghi dell’orizzonte nel quale sprofondava, esausta, deprivata della sola facoltà di pensiero. Era ovunque. Poteva sentirne il fiato caldo sul collo, il respiro rancoroso della ricerca spasmodica esattamente sulla nuca; lì dove sentiva le labbra secche lacerare le sue carni. Le era spesso addosso, sovrastava con il suo corpo quello di Ophelia – si spingeva contro il suo inguine, premeva contro la sua arteria femorale, lì dove i due teli di plastica aprivano il sipario alla vita, e poi subito dopo alla morte. Era la soglia – e al contempo qualcosa di così insignificante e importante da esplodere dietro ogni singolo gesto.

    E l’aveva supplicata – aveva implorato indifesa, sopraffatta, indebolita e patetica il vano desiderio di libertà, senza comprendere quale delle richieste stesse avanzando – l’eterno sonno, o la dissonanza del ritrovarsi nuovamente tra i normali?
    Le aveva chiesto di continuare, o di fermarsi? Se si fosse fermata avrebbe ricominciato a sentire le Voci, se si fosse fermata avrebbe potuto sentire i gemiti di dolore del suo corpo stanco e sfibrato dalla tortura. Se si fosse fermata, sarebbe sopravvissuta – ma se avesse continuato, avrebbe avuto dinnanzi a sé una scelta che non poteva compiere poiché non più capace di farlo.
    Aveva stretto le dita attorno al suo collo – più volte. Il Segugio non aveva mai spostato lo sguardo dal suo, non aveva mai finito di inabissare i suoi desideri e le sue volontà. Tremava, Ophelia – poiché non era più rabbia quella che sentiva, non era più disprezzo quello che percepiva al tocco sordido dei suoi polpastrelli, non era più disgusto ciò che muoveva ogni sua resistenza. E anche se la sua concretezza bruciava sulla pelle più degli insulti e della vergogna, e anche se la sua presenza non portava altro che assenza vitale, era l’unico tocco che Ophelia aveva cominciato ad anelare. A desiderare.

    Una stasi sospesa nell’infinito nero obliante, nella convinzione di poter avere solo lei – ed era attraverso i suoi lunghi capelli, era attraverso quello squarcio unico che univa le linee del suo corpo martoriato che Ophelia aveva cominciato a respirare.
    I suoi schiaffi erano divenuti carezze. Le sue urla erano divenute dolci nenie – il suo invaderle la mente era il più dolce dei supplizi, era la vicinanza di cui aveva bisogno, la penetrazione che le sussurrava di volere, eccitata e bagnata – era tutto una menzogna. Ma era la menzogna di cui si sarebbe nutrita, la menzogna che l’aveva spinta a rubare un contatto forzato con le sue labbra fredde come le catene che l’imprigionavano in quel buco dimenticato dal mondo, nelle viscere di Atonement, nel paese più straziato di sempre.

    Era la follia unita all’amore, l’ossessione unito al martirio – ed infine la naturale evoluzione di ogni pulsione. Il caotico istinto primigenio che muove l’essere attraverso le pulsioni più torbide, attraverso il fanatismo – attraverso l’ultimo grido di libertà dall’oppressione della dipendenza. Attraverso la negazione assoluta – attraverso l’iraconda sensazione di essere respinti da chi pensavi d’amare in ogni minimo frammento e fibra.
    Attraverso il no.. E Ophelia non avrebbe accettato più nessun no – non poteva fermarsi.
    Era rotta. Aidan l’aveva rotta.

    […]

    Sentì qualcosa di umido colarle dal braccio – dal braccio che non sentiva più come parte di sé. Attorno a sé detriti, un’esplosione di sabbia. La poteva sentire fin dentro la gola grattarle l’esofago e agire come carta vetrata per le parole che faticavano ad uscire.
    Una distesa di cadaveri attorno a sé – era il suo letto di morte, ne poteva sentire la presenza tutt’attorno. Avevano gli occhi rivolti verso il cielo, delle lacrime sedimentate nei dotti lacrimali. Non c’era altro, soltanto i detriti della sua prigione. Si trovò a sfiorare l’intercapedine dei mattoni esplosi, e sentì i polmoni contrarsi in un respiro così doloroso da rendere impossibile l’impressione della morte.

    Era viva.

    Ed era piena di un odio che poteva esser nato soltanto da un amore altrettanto forte – dall’ossessione. Aveva ricoperto di sabbia il rifugio dei suoi aguzzini, aveva risvegliato i poteri sopiti che tanto cercavano di strapparle, di capire, di assoggettare ad un volere più grande. Aveva ucciso, aveva dilaniato i corpi dei suoi aggressori, aveva persino calpestato ed abusato dei suoi simili. Poiché tutti l’avevano tradita – poiché nessuno l’aveva reclamata. Neanche lei. Ed era proprio quel Viola che adesso fissava la distesa ghiacciata delle sue iridi.

    Era lontana, ma poteva percepirla – la odiava, la odiava così tanto. La odiava così forte poiché l’aveva resa debole, l’aveva resa innamorata di un sopruso, innamorata di un veleno che lentamente l’avrebbe uccisa. Ma era quello stesso odio che l’aveva fortificata – era nella dimensione del suo rifiuto, del suo allontanarsi, del suo considerarla tempo perso che Ophelia aveva ritrovato se stessa. Intatta.

    Gli occhi della donna più grande erano due fessure – strette, contrariate. Era sorpresa? Era sconvolta? Si sentiva in colpa? Osservava rilassata come un monsone ormai sfumato la distesa di carcasse. Poteva sentire l’odore fetido, e non era soltanto l’odore della morte – era l’odore della colpevolezza.

    Ophelia si strinse nel dolore e nella spossatezza; si strinse però attorno la figura del Segugio. Cercò di imprimerne il volto dietro le palpebre chiuse, cercò di tenerla stretta all’incoscienza del sonno. Cercò di condannarla al dolore più grande, alla sofferenza più brutale – cercò di condannarla alla solitudine. E giurò – giurò solennemente di trovarla, di torturarla, di ucciderla. Giurò di ridurre in cenere tutto ciò avrebbe potuto amare, di rubare l’innocenza dei suoi passi e il sorriso dei suoi traguardi. Giurò di demolire non solo quel luogo, ma lo scheletro che la teneva in piedi – giurò di essere vendetta.
    «Ci sarà sempre un po’ di me in te.»

     
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    Eccomi qui a giudicarti.

    Correttezza grammaticale ed espositiva: A un certo punto finisco le cose da dire, quando non c’è niente da correggere. In un paio di punti, però, ti sei quasi persa, trascinata lontano da riflessioni che avrebbero potuto distogliere l’attenzione del lettore dal tema centrale. Ottieni cinque punti su cinque.

    Coerenza al prompt: La scena è complicata ma interessante; non solo il tema trattato è l’ira, ma anche il modo in cui viene affrontato rispecchia la foga annebbiante e che offusca la ragione. Detto ciò, vale quanto ho scritto prima per la correttezza espositiva: in alcuni momenti della narrazione, l’argomento al fulcro della scena sembra secondario, e forse avrebbe paradossalmente funzionato se il contest avesse incluso sia ira che lussuria. Ottieni quattro punti e mezzo su cinque.

    Ricevi quindi un premio pari a 19 Troni, nonché 19 Punti Esperienza da aggiungere all'indicatore nella scheda del personaggio.

    Grazie per aver partecipato al contest, e buona fortuna.
     
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