Crying on the Bathroom Floor

[Zander, Michael]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Lost in nightmares.

    Group
    Collaboratori
    Posts
    768

    Status
    Offline









    Quel volto continuava a tormentare il retro delle sue palpebre.
    Una parte della sua mente era bloccata al ricordo di Einar nel suo appartamento, tornando ad occupare interamente i suoi pensieri durante ogni dannato tentativo di addormentarsi. Aveva fatto il possibile per evitare che accadesse una simile situazione, smettendo anche di parlarne con la gente, con Natalie, con la sua terapeuta – ma il dolore continuava a crescere anziché diminuire.

    Zander si sentiva soffocare.

    Quel dolore che era solo suo lo stava dilaniando, e non bastava più nemmeno far scivolare una lama sulla pelle per tenerlo a bada. Il suo cuore non conosceva pace al pensiero che quelle lacrime sul viso di Einar fossero causate da lui: non era stata la prima volta, ma era stata l’unica in cui Zander era riuscito a dare la colpa solo e soltanto a se stesso.
    Stava portando Einar allo sfinimento – forse l’aveva già fatto. Dopo essere sparito dalla circolazione per anni, con solo un post-it per spiegare la sua assenza, il Sievar era stato lì con tutte le intenzioni di perdonarlo, ma Zander non era stato in grado di fare lo stesso. Fino a quella sera non aveva avuto alcun dubbio: sul lungo andare quelli come Einar portavano solo un mucchio di sofferenze; meritava qualcuno di diverso al proprio fianco, qualcuno di presente, stabile, maturo, non costantemente preda dei propri istinti e capricci; qualcuno che potesse rimetterlo sulla giusta strada quando fosse stato il caso, anziché leccargli ogni ferita e dirgli che andava bene così.
    Eppure aveva visto in Michael la possibilità di fare la cosa sbagliata e l’aveva presa quasi al volo: in un misero borsone era entrata buona parte della sua esistenza e un sorriso amaro aveva seguito la zip che assicurava tutto al suo interno. Tra una paranoia e l’altra era riuscito a lasciare l’unica donna che era stata in grado di lottare contro ognuno dei suoi difetti e di staccarsi, per la prima volta, dall’unica persona di Covetousness che abbia avuto a cuore un essere disfunzionale come lui.

    Non riusciva a spiegarselo.

    Per quanto fosse stato certo che andarsene era l'unica opzione che avrebbe salvato entrambi, non desiderava nient'altro che raggiungere il Sievar, prostrarsi ai suoi piedi e supplicarlo di essere perdonato. Bramava un suo abbraccio più di una sigaretta, di una canna, di un amplesso – perché, in fondo, quel contatto era l'unica cosa che l'avesse mai fatto sentire al sicuro.
    Accettare questo stralcio di realtà era stato estremamente difficile, perché Zander aveva dovuto ammettere di aver commesso un errore madornale, protratto per una vita intera a causa di una serie quasi infinita di paranoie; buona parte di esse, anche fottutamente stupide.

    E adesso, risolte – seppur parzialmente – tutte quelle preoccupazioni dettate da una sofferenza che voleva risparmiarsi, cercava di dormire in una stanza che non era la sua, studiando quei poster e quei disegni appesi al soffitto come fossero nuove crepe nel suo appartamento. Attendeva con un’impazienza controllata che il tempo semplicemente passasse, che le luci dell’alba trapelassero dalla finestra per consentirgli un respiro di sollievo.
    Un giorno in meno.
    Non aveva avuto il coraggio di spingere Michael ad accompagnarlo direttamente a Hubris, e tre giorni di viaggio sarebbero divenuti chissà quanti mesi. Si ripeteva con una certa costanza che forse era meglio così: avrebbe avuto tutto il tempo per immaginare ogni possibile risultato, per provare sconclusionati discorsi davanti allo specchio e far scemare ognuna delle sue preoccupazioni. A furia di vivere e rivivere una medesima situazione, si sarebbe salvato da se stesso e avrebbe concesso ad Einar un sorriso invece di un pugno in faccia; un abbraccio pregno di sentimenti anziché uno sguardo glaciale di disapprovazione; un “Mi sei mancato anche tu” invece di un “Ti prego, vattene”.

    Si rigira nel letto, quella dannata palla di pelo comodamente acciambellata su un cuscino. Le concede qualche carezza prima di alzarsi, trovando un minimo sollievo in quel contatto che non avrebbe confessato mai al padrone di casa – deve pur mantenere una parvenza di totale indifferenza per quel gatto – e decide di alzarsi. Manca ancora troppo tempo alle prima luci dell'alba e sa bene che non riuscirà a prendere sonno semplicemente stando disteso sul letto.

    postit_m_1-17080401573393

    Non ha idea di chi possa essere il destinatario di questo biglietto, ma non gli è necessario saperlo per avvertire una morsa all'altezza dello stomaco. La stanza è piena zeppa di post-it e buona parte di quelli che riesce a leggere gli provocano la medesima reazione. Non hanno nulla a che vedere con quello che ha lasciato alla sua famiglia, ad Einar. Nulla.
    Sarebbe bastato poco per comportarsi nel modo giusto, sarebbe bastato poco per evitare che Einar soffrisse per delle colpe che non doveva addossargli; ma Zander è stato cieco per anni, non riuscendo a comprendere che forse, nonostante tutto, Einar era l'unica persona che non gli avesse mai chiesto di cambiare, di essere come tutti gli altri.

    Si sposta nella stanza per raggiungere il piccolo – ma di certo non modesto – bagno privato: il semplice sedersi in un angolo e percepire il contatto fresco con le mattonelle gli allevia l'emicrania. Anche qui sono presenti post-it di ogni tipo e tenta disperatamente di ignorare la loro presenza chiudendo gli occhi. Vorrebbe fumare, trovare un po' di conforto in quell'orribile abitudine che si porta dietro da una vita, ma ha dimenticato di chiedere se per Michael fosse un problema e di uscire all'aria aperta non se ne parla.
    Inspira ed espira innumerevoli volte prima di riaprire gli occhi e lasciarsi andare.
    Soffoca i singhiozzi per evitare che qualcuno lo senta, le ginocchia contro il petto e le mani a coprirgli il volto. Si chiede come sia possibile sbagliare così tanto; come si possa essere così codardi da scappare; come si possa amare per una vita intera e fingere che non sia vero. A cosa sono serviti questi anni lontano da "casa", se non ad alimentare il suo dolore e la sua rabbia? A cosa è servito rifarsi una vita se non è stato in grado di abbandonare quella precede–

    Dei passi in lontananza interrompono i suoi pensieri.
    Si avvicinano senza alcuna fretta ma decisi, sicuri, fieri; qualche istante dopo, delle nocche battono contro la porta del bagno. Zander non ha il tempo di elaborare una risposta né di valutare se preferisca restare in silenzio perché Michael la apre noncurante di una risposta. L'odore del caffè nel bicchierino fa aprire leggermente gli occhi stanchi del Thanat, che non accenna ad alzarsi nemmeno per una frazione di secondo. "Che figura di merda" pensa, mentre con una vergogna palpabile tenta di asciugare le lacrime con i palmi. Ma il Norn è tranquillo, con un mezzo sorrisino sulle labbra.
     «Una sensazione.» gli dice.
    E Zander vorrebbe chiedergli se l'ha sentito piangere, se è consapevole del suo umore tramite quei benedetti Doni di Norn, se invece dipendono dalla Vista o se è solo una banalissima coincidenza, ma le parole non fuoriescono dalle sue labbra: se tentasse di parlare adesso, Michael sentirebbe la sua voce tremante e non vuole davvero mostrarsi come un'idiota privo di spina dorsale – non a uno come lui.

    Zander prende il caffè dalle mani dell'altro e lo ringrazia con un cenno del capo, prima di rivolgere lo sguardo ovunque ma non su di lui. Concentra più attenzione del necessario sulla forma della tazzina che ricorda un teschio, trovandola comicamente inappropriata per un Thanat che deve ancora scendere a patti con la sua Origine. Non sorseggia il caffè, comunque, preferendo tracannarlo in un sorso solo per restituire quella tazzina al suo proprietario.
    Potrebbe adesso chiedere a Michael se può accendere una sigaretta... ma gli costa troppo coraggio parlare, in questo momento. Si conosce abbastanza da sapere che probabilmente gli mancherà per una buona mezz'ora ancora, e che a Michael converrebbe andar via, tornare a dormire, perdere tempo in altro modo, qualunque altra cosa sarebbe più interessante di lui.

    Eppure Michael decide di restare.

    Si siede a sua volta sul pavimento del bagno e tace, forse rigirandosi i pollici in attesa che Zander dica o faccia qualcosa. Una parte di sé gli urla di mandarlo via, di allontanarlo quanto basta per continuare a crogiolarsi in quella sofferenza che non è nemmeno in grado di raccontare; l'altra, però, lo supplica di sollevare lo sguardo e di rivolgerlo al Norn, di lasciarsi andare – per una volta – con al fianco un altro essere vivente.
    Zander tira su col naso, passando le mani tra i capelli con fare nervoso. Come se tutto dipendesse da questa singola decisione, come se Michael potesse salvarlo da se stesso.
    Schiude più volte le labbra emettendo appena dei sospiri. Poi, schiude le labbra:
     «La vuoi sentire una storia davvero stupida?»




    annotazioni

    Caratteri (spazi inclusi): 8800 ca.
    Tipologia scena: Scena in Solitaria.

    → Per accordi presi con l'utente Wrath, Zuzu finisce poi a casa sua a Desire; non posso datarla perché non sappiamo ancora quando accadrà di preciso. Tutte le info relative all'abitazione e le azioni di Michael mi sono state fornite dal mio bellissimo e 3mendissimo bf, ovviamente. Love you.
    → Grazie, Zuzu, per essere sempre pronto a sfogare i miei drammi personali.

     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Consapevoli
    Posts
    440
    Location
    Heart's Grief, Coldharbour

    Status
    Anonymous
    Drama Queening on the Bathroom Floor
    ─ villa di Michael, Desire, orari da casi clinici }

    Gli bastò aprire la porta per posare lo sguardo sulla la scena più comicamente patetica che avesse visto in tutti e trentotto gli anni di vita. Detto così sembrava anche divertente, ma quando si considerava che la competizione nella lista era nientedimeno che il suo boyo depressino e disfunzionale - ex prostituta con una serie di entire everything issues da far impallidire chiunque - la cosa iniziava a diventare molto pericolosamente vicina ad un criterio diagnostico, oltre che ad una storiella divertente da raccontare poi.
    In ogni caso, ora sapeva che il presagio che aveva avuto era corretto. Che si trattasse di Norn in persona o della sua fantastica intuizione, non era importante. In quel momento, era lì.
    «Una sensazione» disse, porgendogli una tazzina di caffè, meno amaro di come lo avrebbe fatto per sè e osservandolo con l'aria più pacifica del mondo mentre l'altro tentava in modo piuttosto maldestro di nascondere le lacrime. Parve rinunciare dopo non molto; era pur sempre Zander, ma persino uno come lui doveva aver capito che c'era poco che potesse fare per nascondersi in quel momento. Il Norn attese che prendesse il caffè, rimanendo a studiarlo con quel suo solito sguardo che trapassava ogni ridicolo tentativo di costruire una maschera.
    Non disse nulla, però, meditando per un singolo attimo prima di sedersi a terra sul pavimento del bagno, incrociando le gambe e restando in attesa. Il silenzio era cristallino, ma Michael non era a disagio: bastava guardarlo un attimo per capire che aveva già vissuto quell'esperienza dieci, cento, mille volte; un ragazzetto in una lurida metropoli che sapeva che, aspettando nell'ombra proprio in quel vicolo e proprio a quell'ora sotto la pioggia, prima o poi sarebbe uscito dal buio un gattino nero abbandonato dalla pelliccia rovinata e gli occhioni rossi, fragile e selvatico, sopravvissuto, affamato, spelacchiato, spaventato. Probabilmente le prime volta lo avrebbe solo potuto osservare, perchè qualunque movimento ne poteva provocare la fuga, alla decima volta avrebbe potuto muoversi lentamente, alla trentesima iniziare ad avvicinarsi, alla quarantasettesima provare a toccarlo e venire graffiato, alla sessantatreesima coccolarlo, all'ottantanovesima farlo mangiare nella propria mano, alla novantottesima occuparsi delle sue innumerevoli sempre nuove ferite... e forse, con un po' di fortuna, alla centoquindicesima lo avrebbe seguito fuori da quel vicolo, da lontano, fissandolo dal buio con quegli occhioni rossi non più davvero impauriti. Qualcuno avrebbe detto che creature così patetiche, insulse, disgustose, inutili non meritassero centoquindici giorni di paziente attesa sotto la pioggia in un vicoletto di merda; lui non era della stessa opinione.
    Quindi rimase ad osservare il suo gattino, lo sguardo fisso nelle iridi rosse, nella pacifica attesa di chi aveva già vissuto quelle circostanze troppe volte per non sapere esattamente cosa sarebbe successo.
    Quando Zander parlò, l'uscita fu così ridicola che non potè non strappare a Michael un risolino. Ma non era una presa in giro: era sincero, limpido, un tesoro raro e solitamente nascosto nel profondo, che avrebbe quasi potuto sembrare un riflesso involontario se non si stesse parlando di Michael. Scosse la testa, divertito.
    «Ovviamente.»
    E sorrise.


    That Melody ♪ ♫

    :fiore:
    ∆ Sono 600 Troni. O qualche caffè. O un mrow detto in modo cute. (-cit. M, probabilmente)
    ∆ "piccolo – ma di certo non modesto" mi uccide ogni volta che rileggo. :°D

     
    .
1 replies since 22/3/2024, 23:03   25 views
  Share  
.