Youngblood

[Einar w/ Zander, Arash]

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    einar




    « A me non importa. Basta che non mi mettono a parlare con la gente, poi accetto qualunque cosa. »
    « Come sei triste, ████. »
    « Tu sei triste. E pure scontato. Sicuro farai qualcosa che vogliono anche tutti gli altri. »
    « Pensavo mi conoscessi meglio. Ti sembro davvero così scontato? »
    « È che non ti ci vedo dietro una scrivania come me. »
    « E invece mi piacerebbe. Okay, forse tutto il giorno là dietro un po' mi annoierei ma... Sarebbe bello fare quello che facciamo anche
    fuori da questa metropoli. »
    « È una follia, Einar. Se hai preso questa decisione perché — »
    « No, quello non c'entra. Tu non sei curioso di vedere cos'altro c'è oltre Hubris? Visitare le altre metropoli, girare per il Deserto, prenderti
    tutta la gloria delle Sentinelle? Il mondo sembra fermarsi quando passano loro — e io voglio che il mondo si fermi a guardare anche me. »


     Einar sta per perdere la pazienza. Seduto su quelle poltrone di velluto rosso, affossa le dita nei braccioli, ormai un fascio di nervi: degli altoparlanti gli hanno detto che a breve sarebbe entrato qualcuno per riceverlo — ma è trascorsa una buona mezz'ora solo con i suoi pensieri e ne ha decisamente abbastanza.
    Si alza, bussando a ognuna delle porte che contornano la stanza: « Hey, ma c'è qualcuno qua dentro?! Sto aspettando da una vita su questi divanetti! »
     « Vedi che quelli con poca pazienza muoiono presto. »
    Una ragazza fa capolino nella sala d'attesa, lo sguardo duro di chi non ha davvero voglia di perdere tempo. Ha un paio di fogli con sé, una sola penna e una pistola nella fondina sul fianco. Si sposta repentina, facendogli cenno di seguirlo altrove lungo un corridoio interminabile.

    Giungono in una piccola stanza, dotata di una scrivania, due sedie e una lunga serie di armadietti porta-documenti. Un computer è l'unica cosa presente sulla lastra di legno logoro. Studia Einar in silenzio, dall'alto verso il basso, pronta ad etichettarlo — e giudicarlo — alla prima parola fuoriposto.
     « Tu saresti? »
     « Einar. »
     « Einar che? »
     « Einar Källström. »
     « Ho capito. Dammi i documenti che facciamo prima. »
    La ragazza batte velocemente le dita sulla tastiera, rigirando tra le mani la Carta Pravuil più volte. Il Sievar è teso come una corda di violino, ma tenta disperato di non darlo a vedere — le Sentinelle non sono deboli, né vanno nel pallone per così poco.
     « Ma tu sei proprio sicuro di voler fare il volontario qua dentro? Tra due settimane le belle manine levigate e smaltate che hai saranno solo un ricordo. Qualcuno torna anche senza capelli, sai. »
    Einar nasconde le braccia sotto la scrivania, a metà tra l'imbarazzo e l'irritazione: sono anni che aspetta questo momento, anni trascorsi a temprare il fisico proprio per affrontare le insidie del Deserto e quelle che possono trovarsi all'interno delle Metropoli; sono anni che ripete a chiunque di voler fare questo nella vita e nient'altro — non ha nemmeno mai contemplato un piano b a cui aggrapparsi.
     « Che c'è, ti sembro uno che si lamenterebbe al primo granello di sabbia nel culo? »
     « Un po'. »
     « Ti sbagli. Posso firmare il contratto adesso? »

    — — —


     Einar scruta l'orizzonte fuori da una jeep color sabbia. Stringe una sigaretta tra le dita, ormai spenta, perché ha dimenticato di averla accesa qualche minuto prima: è la prima volta che mette i piedi fuori da Hubris e gli sembra tutto così assurdo da distrarsi per ogni più piccola folata di vento. Non riesce ancora a metabolizzare la sensazione che ha provato stringendo quei granelli in un pugno, la loro consistenza fumosa e impossibile da imprigionare. Era rimasto incantato a studiare il comportamento della sabbia tra le dita — più stringeva e più la sabbia scivolava via, più stringeva e più la sabbia scivolava via, più stringeva e più la sabbia scivolava via.

     « Hai intenzione di finirla quella sigaretta? Non ti faccio fumare nella jeep. »
     « Sì, scusami. »
    Aspira frettolosamente, l'attenzione adesso rivolta al suo compagno di avventura fuori dalle Mura. È un uomo di forse quaranta o cinquant'anni, con cui ha scambiato a stento qualche parola, troppo emozionato all'idea di controllare un impianto a due ore da Hubris — il primo di molti altri.
     « Voi novellini siete sempre uno spasso. » esordisce l'altro. Dovrebbe chiamarsi "Arash", ma non ne è sicuro « Alcuni di voi si lamentano di ogni cosa, altri scappano appena vedono un Barbagianni — e poi ci sono quelli come te che restano impalati a fissare l'orizzonte e altre stronzate. »
     « Dovrei prenderlo come un insulto? »
     « No, affatto. Diversi anni fa anche io ero come te. »

     Einar aspira ancora, per l'ultima volta, prima di riporre il mozzicone in un posacenere tascabile: « E poi? »
     « Poi il Deserto perde la sua magia, ragazzino. Perché a un certo punto realizzi che non puoi domarlo — ma sei solo suo ospite. Finché ti vuole, almeno. »
    Il Sievar resta in silenzio, gli occhi granitici in quelli dell'altro. Non capisce cosa voglia dire quel tizio, ma lui non è lì per conquistare il Deserto — ne è affascinato e nient'altro, più interessato alla gloria eterna dell'essere una Sentinella. Scuote il capo, aprendo la portiera per tornare a casa.
     « Vedrai che il Deserto sarà molto clemente con me. »
     « Il Deserto non è clemente con nessuno, Einar. Nemmeno con noi. »

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    annotazioni

    Caratteri (spazi inclusi): 6000 ca.
    Tipologia scena: Scena in Solitaria; Entrata nelle Sentinelle del Deserto.

    → Spezzoni su spezzoni. Ma non mi andava di fare diversamente, lol.


    Edited by Sad Reality. - 18/3/2022, 17:26
     
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