Let me feel something

Molti credono che io non abbia amore per me stesso. Dopotutto, se mi amassi non tenterei di ferirmi come faccio di solito, no? Ma si sbagliano. Io amo me stesso e le sensazioni che provo ogni giorno, anche nei giorni in cui esse fanno semplicemente schifo. Non biasimatemi per questo. Dopotutto... è solo la mia natura.

3058, Mese della Luna

Daniel mise la mano sulla fiamma della candela davanti a lui, lasciando che le fiamme si innalzarono e l’avvolgessero. La mantenne in quella posizione per meno di un minuto, prima di poter sentire il bruciore sulla sua pelle e la carne sfrigolare. Daniel ritirò di scatto la mano, spegnendo involontariamente la candela con quel gesto, mentre suo padre, seduto davanti a lui, sospirava, con aria di delusione sul suo volto.

Suo padre, Edward Crowley, era infatti una persona estremamente orgogliosa, soprattutto per quanto riguardava il suo essere Norn. I suoi occhi, azzurri e brillanti, dalla pupilla ferina, e le corna sulla sua testa non celavano infatti minimamente la sua vera natura, ed erano per lui motivo di orgoglio. Vedersi, a detta sua, come un prescelto dal Custode del Destino era un assoluto privilegio, che secondo lui non tutti erano meritevoli di avere e che rendeva le altre Origini inferiori.

«Proprio non ci siamo.» fece lui, scuotendo la testa. Edward si avvicinò quindi al camino acceso poco distante, afferrando uno dei tizzoni e stringendolo tra le mani. Dopotutto, era questo ciò che credeva. Credeva che i Norn fossero invulnerabili a tutto e tutti. Malattie comprese.

«La tua Origine ti da accesso a grandi potenzialità. Ma non le sbloccherai mai se non ti impegni.»

Edward si avvicinò quindi a Daniel, mostrandogli il tizzone che aveva tra le mani, ancora emanante calore.

«Tu sei un Norn, e come tale sarai. Il destino… anzi, il Custode che comanda il destino, ti ha concesso un dono, e non lascerò che tu rovini questo retaggio.»
Prese quindi un accendino, riaccendendo la candela e indicandola con un gesto al figlio.

«Ora… riprova.»

3062, Mese del Sole

Daniel mise nuovamente la mano sulla fiamma della candela, lasciando che bruciasse la sua mano ancora una volta. Rimase per qualche minuto immobile in quella posizione, con la mano ben tesa verso il fuoco, ritraendola solo quando cominciò a sentire una lieve sensazione di calore. Edward lo guardò soddisfatto, complimentandosi con il figlio con un lieve battito di mani.

«Complimenti figliolo! Sai padroneggiare la tua Origine egregiamente ora!» fece lui, avvicinandosi. «Ora sai quale sia la potenzialità di un Norn. Tuttavia… forse non sai che si dice questo potere può estendersi più in là di così.»

Daniel lo guardò con sguardo interrogativo.

«È semplicemente una vecchia storia. Non so se sia vera oppure no, ma… ritengo che sia ciò che un Norn dovrebbe essere. Un Norn che in passato ha affinato la sua Origine ad un livello da diventare indistruttibile, inscalfibile. Letteralmente invulnerabile a qualsiasi cosa.»

Edward si avvicinò quindi a Daniel, accarezzandogli la folta chioma che a quell’età gli arrivava fino a metà schiena.

«Non credo che tu o potremmo mai raggiungere un tale potere, ma… chi può dirlo.»

Quella storia però rese Daniel più pensieroso che affascinato. Una volta rientrato in camera sua, infatti, continuò a pensarci, più e più volte. Un Norn immune a qualsiasi cosa. Daniel pensò a lungo a ciò che questo potere avrebbe potuto comportare. Qualcuno completamente immune a qualsiasi cosa presente nel mondo sarebbe stato letteralmente un Dio, che non avrebbe mai conosciuto la morte o sentito alcun tipo di dolore o di sofferenza che qualcuno avrebbe potuto infliggergli; ma non avrebbe avvertito nemmeno il piacere, la carezza di un tocco, o il calore di qualcuno. Magari persino le sensazioni dell’ambiente circostante, come il caldo o il freddo, gli sarebbero stati estranei. E questo… era più spaventoso di qualunque altra cosa.
Con questo pensiero in testa, Daniel si mosse leggermente, urtando il mobile di fianco a lui e facendo cadere il suppellettile sopra di esso, che si frantumò in mille pezzi. Fu però in quel momento che un’idea gli balzò alla testa. Daniel si chinò, prendendo uno dei cocci e accostandolo quasi d’istinto al palmo della mano. Bastò una leggera pressione perché il coccio aprisse una ferita spillante di sangue su di essa, e mentre quel liquido cremisi colava sul pavimento, anche il dolore si fece ben presente. Dolore che suo padre gli aveva insegnato ad ignorare, ma che ora era più vivo che mai. E di cui lui era felice.

«Mi dispiace padre. Ma non ho intenzione di seguire questo sentiero.»